11. Storia delle idee filosofiche e politiche precedenti al cooperativismo universale
- Categoria: Il Manifesto
- Scritto da CoopUni
Dalla produzione mercantile si passa alla produzione capitalistica, alla produzione cioè, tendente non più allo scambio, ma al profitto. Questo è il caso di quella merce che è la forza-lavoro del proletario che, ad esempio pagato 6 e producendo per 10, crea un plus-lavoro ( lavoro supplementare, che non gli viene pagato ) che determina il plus-valore e cioè il profitto del capitalista, profitto che, quindi, è lavoro non pagato, denaro rubato, un furto.
Quindi la condizione fondamentale del sorgere dell'economia capitalista è l'esistenza, sul mercato, del proletario, lavoratore libero (che quindi si può vendere) e nullatenente (che quindi si deve vendere), "merce" che comincia ad esistere con la crisi del feudalesimo. Con la produzione capitalistica la situazione cambia: alla vecchia formula M.D.M. (Merce Denaro Merce) si sostituisce la nuova: D.M.D. (Denaro Merce Denaro), il denaro, cioè, finisce di essere un semplice mezzo di scambio, per diventare causa e fine della produzione, con la conseguenza che, capitale da una parte e lavoro salariato dall'altra, diventano due fatti interdipendenti, perché il capitale può accrescersi mediante il lavoro salariato e il lavoro salariato può esplicarsi soltanto se trova un capitale. Salario e profitto, dunque, queste due creature della società borghese, sono nate assieme e non possono che vivere o morire assieme.
Secondo Marx sono destinate a morire, e ciò egli dimostra con le due leggi dell'accumulazione capitalistica e della corrispondente proletarizzazione dei lavoratori, che sono le due tesi fondamentali del "Capitale".
L'accumulazione capitalistica e l'antitesi del proletariato: La produzione capitalistica si muove in una contraddizione fondamentale da una parte, il capitale deve dare un profitto, all'infinito, perché e impiegato per questo; dall'altra i limiti di assorbimento dei prodotti sono determinati, perché il mondo abitato dagli uomini è finito. Da qui la tragedia di un processo infinito, che si deve svolgere nel finito e che, non potendosi realizzare, dovrà finire con l'esplodere.
Il capitale, per dare un profitto, deve aumentare la produzione e collocarla. Per farlo seguirà volta a volta tutte le vie possibili, ma ognuna di esse con l'antitesi che crea anziché risolvere il problema, finisce con l'acuirlo.
Se, infatti, il capitale cerca di aumentare il profitto diminuendo la paga agli operai, ad un certo momento, e precisamente quando (legge bronzea del salario) il salario non è più sufficiente a mantenere in vita e in forze l'operaio, questo non produce abbastanza, e, non producendo, non produce nemmeno capitale. Lo stesso avviene se il capitale batte la via opposta, quella, cioè, di aumentare il profitto aumentando la giornata di lavoro. Bloccato in questa direzione, il capitale ne prende un'altra e chiede alla macchina, al macchinario morto, al perfezionamento cioè, dei mezzi tecnici di produzione, ciò che il macchinario vivo non può dare. Così dalla manifattura (lavoro umano, animale e idraulico si passa alla industria (motore elettrico e motore a scoppio). Ma ciò crea l'antitesi della disoccupazione di eserciti di lavoratori, che si organizzano in sindacati, minacciando la distruzione delle macchine e, nel campo stesso della borghesia, porta ad una spietata guerra economica in cui le vittime, cioè i piccoli industriali, che non sostengono la concorrenza dei grandi complessi industriali, vanno ad ingrossare le file del proletariato. Il capitale, comunque, è riuscito ad aumentare la produzione.
L'aumento della produzione così conseguito comporta la conquista di altri mercati. Da ciò le guerre di espansione e le guerre coloniali, le quali, mentre assicurano al capitale nuovi profitti, provocano come loro antitesi, lo sviluppo civile dei paesi conquistati, che si ribellano ai paesi conquistatori, chiedendo di produrre da sé. I crescenti profitti aumentano continuamente il capitale, il quale cerca sempre nuovi investimenti. Li trova estendendo le conquiste a tutta la terra abitata, sino a quando - diviso tutto il mondo in colonie e sfere di influenza - le guerre di conquista coloniali si trasformano in guerre imperialistiche di uno Stato contro l'altro, per strappare o conservare sbocchi commerciali e materie prime. Ma la guerra imperialistica è guerra fra i capitalismi, fatale allo stesso capitalismo, che si indebolisce, mentre le masse popolari, trascinate alla guerra, si organizzano sempre meglio e minacciano l'esistenza stessa del capitalismo. Di fronte a questa minaccia, il capitalismo internazionale si allea e crea i pool (inglesi), i cartelli (tedeschi), i trust (americani), forme diverse di accordi per fissare i prezzi e ripartire i mercati. Ma così, mentre con i monopoli giganteschi, che si vengono a costituire si distrugge la base stessa dell'economia borghese, cioè la libera concorrenza, dall'altra, con la concentrazione del capitale nelle mani di una minoranza (i "re" delle grandi industrie), si riduce alla condizione di proletari tutto il resto del genere umano. La contraddizione allora scoppia nella rivoluzione mondiale, che espropria gli espropriatori ed instaura la società senza classi.
Questa è la fine che Marx prevede per una produzione assurda come è quella capitalistica che, invece di produrre per soddisfare i bisogni della società, produce per il profitto.