Fregati dalla globalizzazione
- Categoria: Politica
- Scritto da CoopUni
I capitalisti, con la scusa del valore della libertà e della libera concorrenza, sono riusciti ad aprire tutte le frontiere globalizzando il loro operato nel commercio, nell'industria e soprattutto nella finanza. Ci ha giovato tutto ciò? No! E non ha giovato, se non in minima parte, neanche ai paesi in via di sviluppo.
L
a globalizzazione, parlo della globalizzazione moderna, fu voluta dai grandi finanzieri che volevano essere liberi di muovere i loro capitali in quella parte del mondo che al momento dava maggiori profitti.
Volevano essere liberi, giusta aspirazione di ogni essere umano; solo che un capitalista vuole essere libero di aumentare il suo capitale al massimo, vuole cioè essere libero di sfruttare e di speculare; non gli importa se per ottenere il massimo profitto deve investire in un paese dove la manodopera è sfruttata, o le tasse sono basse o inesistenti, o la classe politica e quella burocratica sono corrotte, o c'è un regime dittatoriale che opprime il popolo, ma permette ai capitalisti di lucrare.
Appena la grande finanza è riuscita a globalizzare il mondo finanziario, gli industriali si sono sentiti trattati ingiustamente e hanno iniziato a spingere perché i loro governi liberalizzassero anche l'operato dell'industria e del commercio. A dire il vero le multinazionali erano già riuscite, con metodi legali (lobbies negli Stati Uniti) e illegali (corruzione e contrabbando) a esportare le loro attività in tutto il mondo e molte ditte medie avevano diversificato almeno parte delle lavorazioni all'estero. Un esempio classico è quello delle ditte italiane di pelletteria che, negli anni '80, acquistavano pelli grezze in URSS, le conciavano in Cina, le tagliavano in Italia e le rimandavano in Cina o in India per cucirle; il prodotto finito ritornava in Italia per l'apposizione dell'etichetta e per la commercializzazione.
Oggi tutti i paesi occidentali hanno di fatto liberalizzato non solo i capitali, ma anche le attività industriali, togliendo praticamente tutti gli impedimenti che bloccavano o perlomeno regolavano i movimenti dell'industria e del commercio.
E' un bene tutto ciò?
No! O almeno non ancora, perché questo movimento massiccio di capitali, di conoscenze tecniche e teoriche ( know how ) e di industrie verso paesi in via di sviluppo non hanno migliorato di molto le condizioni di vita dei lavoratori del terzo mondo, mentre hanno peggiorato e continuano a peggiorare le condizioni di vita dei lavoratori occidentali, vedi diminuzione del potere d'acquisto, disoccupazione in aumento, diminuzione dei servizi sociali.
La globalizzazione potrebbe funzionare bene, senza scompensi, se fosse attuata tra paesi che hanno condizioni economiche e di lavoro simili, come i paesi della comunità europea, gli Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone. Questi paesi, uniti in una globalizzazione che potremmo chiamare di prima serie, potrebbero aiutare prima i paesi emergenti a raggiungere in breve tempo gli standard occidentali. Cina, India e Brasile sono i primi paesi che andrebbero aiutati perché sono già, specialmente la Cina, sulla buona strada; poi si potrebbero aiutare gli altri paesi emergenti e infine, a mano a mano che il benessere si estenderà arricchendo sempre più nazioni, ci sarà sempre più possibilità di aiutare anche tutti i paesi più arretrati. Invece, se si continuerà a operare come si sta facendo adesso, con una globalizzazione totale, senza regole, con i capitalisti liberi di esportare tutti i capitali dove il profitto è più facile, saremo costretti a vedere la qualità della vita del mondo occidentale scadere e avvicinarsi irrimediabilmente a quella del terzo mondo.