Cooperativismo Universale

09. B. Dizionario Politico (Da "Dichiarazione Universale" a "Industriali italiani")

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scavatrice_maxiIndustria: il C.U. sosterrà l'industria con investimenti mirati sia geograficamente che settorialmente. Gli investimenti saranno sostenuti dalle finanze risparmiate con la privatizzazione.

Industriali italiani: (Dalla precedente stesura) Fiat, Montedison e Olivetti sono in guai seri, certamente dovuti alla situazione economica internazionale, ma soprattutto dovuti alla loro politica aziendale. Almeno dal 1986 i tre massimi gruppi cofindustriali hanno sbagliato quasi tutto: strategie, prodotti, scelte manageriali. Hanno comprato dai giornali alle banche, dalle barche (il sistema Tencara della Montedison) alle assicurazioni, senza un disegno che non fosse quello di usare la leva finanziaria per allargare il proprio potere in tutte le direzioni possibili. Emblematica rimane la battaglia ingaggiata, a colpi di centinaia di miliardi, dai gruppi De Benedetti e Agnelli per il controllo del Credito romagnolo che l'influsso miracoloso di "nuove tecniche manageriali" avrebbe dovuto trasformare in una grande banca nazionale.

Occupati a diversificare, i grandi gruppi non si sono accorti che i prodotti e i mercati su cui operavano le loro principali aziende stavano cambiando radicalmente. La Fiat non si è resa conto che stava accumulando un crescente ritardo nella qualità dei prodotti ( in Italia e Spagna ha visto crollare la sua quota dal 60 al 44% e in Gran Bretagna i marchi Alfa Romeo e Lancia si sono dimezzati). La Olivetti ha subito una concorrenza sempre più aspra con ribassi nei prezzi fino al 60% all'anno. La Montedison, impegnata nel braccio di ferro Enimont da cui ha tratto un utile puramente finanziario, ha assistito al declino dell'Adriamicina, il farmaco dell'Erbamont che aveva garantito crescenti profitti nella prima metà degli anni 80, e ha dovuto fronteggiare una più serrata concorrenza sul polipropilene dell'Himont, sacrificando prezzi e profitti.

industry_3Gli effetti di questi errori sui bilanci sono stati drammatici: la Fiat, che nel ‘90 registrava ancora profitti netti record da 3 mila miliardi (1,5 miliardi di euro), li ha visti sparire tutti con una velocità assai superiore a quella con cui erano stati accumulati. L'Olivetti sta accelerando il ritmo delle perdite nonostante le reiterate promesse di imminenti inversioni di tendenza. La Montedison ha sostituito agli utili fatti con le plusvalenze perdite vere. I Ferruzzi hanno lasciato debiti per 20 mila miliardi (10 miliardi di euro) contratti negli anni buoni.

D'altra parte i grandi gruppi pensavano di poter dormire sonni relativamente tranquilli perché avevano accumulato dei ricchi cuscinetti di liquidità. Approfittando del cambio stabile garantito dallo Sme, avevano impiegato questa liquidità in titoli di Stato indebitandosi poi in marchi e franchi svizzeri a costi bassi (6% circa) da investire in Bot al 12-13 per cento. La crisi monetaria e la svalutazione della lira ha dato un piccola spinta alle esportazioni, ma ha costretto Fiat e compagni a ricomprare precipitosamente marchi e franchi svizzeri senza che riuscissero a vendere i titoli di Stato a meno di registrare perdite pesanti.

Il mercato finanziario non crede più in queste aziende. La Fiat vale oggi in borsa un quinto di quanto valeva 10 anni fa. Per la Olivetti e la Montedison va ancora peggio. Ma a questi "grandi" della Confindustria interessano poco la borsa, l'internalizzazione e l'innovazione. Perché nei momenti bui c'è sempre lo Stato a dare una mano. Nell'agosto ‘92, l'allora ministro del Bilancio, Franco Reviglio, alla domanda su perché ripristinava 24 mila miliardi di aiuti al Mezzogiorno che pareva dovessero venire cancellati rispose: "Era un impegno che avevamo preso con le aziende private che operano nel Sud. Così onoriamo la parola data a Fiat, Piaggio, Olivetti e Barilla". I rapporti tra lo Stato e la grande industria sono fittissimi e innumerevoli: agevolazioni finanziarie, capitali a fondo perduto, acquisizioni di aziende in perdita, appalti e commesse pubbliche di ogni genere, prepensionamenti e assunzioni di personale eccedente nella pubblica amministrazione.

L'incapacità del potere politico di porsi in maniera autonoma e seria rispetto alle pressioni e alle richieste della grande industria tocca in Italia vertici inimmaginabili. Nessuno in Parlamento si è sognato di alzarsi e chiedere al governo se può essere considerato ammissibile che lo Stato approvi finanziamenti per migliaia di miliardi a un gruppo privato come quello Fiat, che ha una controllata inquisita per reati contro la pubblica amministrazione, cioè lo Stato medesimo.

Gli investimenti della Fiat potrebbero essere stati finanziati dagli Agnelli, come dimostrano i mille miliardi di liquidità nelle casse di Ifint e Ifi, le due holding di famiglia.

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Con il C.U. la dipendenza del Governo dalle grandi concentrazioni di capitale cesserà immediatamente. Non ci saranno finanziamenri a fondo perduto o a tassi agevolati, ma solo quelli a tassi correnti. Non ci saranno sgravi fiscali a settori privilegiati o altri tipi di incentivazione a branche, gruppi o settori limitati, ma tutti gli interventi di questo tipo riguarderanno sempre tutta la collettività.

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